Modulazione della risposta allo stress e terapia di PTSD e astinenza
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 14 marzo 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Lo squilibrio di attività fra i sistemi neuronici centrali[1] costituisce l’elemento fisiopatologico
che più di ogni altro ha attratto l’attenzione dei ricercatori che indagano, in
prospettiva terapeutica, le basi dei disturbi da stress e la sindrome da
astinenza.
L’iperattività del sistema noradrenergico e i circuiti di
auto-innesco cronico della reazione di paura in assenza di una minaccia
ambientale attuale[2] hanno chiarito molti aspetti dei
disturbi da stress, incluso il PTSD (post-traumatic stress disorder).
Il principale riferimento teorico della ricerca è stato a lungo il modello
elementare della fight or flight reaction degli studi pionieristici di
Walter Cannon; ma, col progredire delle conoscenze, si è fatta strada la
necessità di andare oltre quel paradigma di base della risposta tutto o
nulla a una minaccia per la vita.
L’attivazione dei sistemi mediatori delle emozioni non avviene solo nella
forma dello stress estremo, che li rende dominanti su tutti gli altri
circuiti neuronici encefalici, ma a bassa intensità si verifica costantemente,
fornendo un contributo, talora anche minimo, a tutte le attività psichiche che
caratterizzano la veglia e la vita di relazione. Questa nuova prospettiva ha
consentito di accertare e apprezzare il ruolo dei neuroni mediatori delle
emozioni nella memoria[3].
Il modello della reazione elementare di attacco o fuga dell’animale
minacciato ci ha consentito di comprendere come i sistemi dello stress,
per acuta sollecitazione in una circostanza grave o estrema, possano prevalere
sull’attività cognitiva, disturbando l’integrazione condotta dal controllo
inibitorio neocorticale e causando la temporanea perdita di memoria, per
impossibilità di rievocazione, o una vera e propria amnesia traumatica. Questa
nozione ha indotto ricercatori e medici ad associare, abitualmente, l’attivazione
dei sistemi neuronici mediatori delle emozioni ad effetti perturbanti la memoria.
Al contrario, il regime fisiologico ordinario di attivazione dei neuroni che
conferiscono la qualità affettiva ed emotiva alle esperienze che viviamo
quotidianamente, contribuisce ai processi che consentono di fissare nozioni ed
eventi e interviene anche nell’elaborazione che mantiene vividi i ricordi.
L’eccitazione emotiva (emotional arousal) è attualmente considerata
uno dei numerosi fattori che determina la forza di una memoria e
il grado di efficienza con il quale può essere rievocata.
Questa nozione è importante per la comprensione della patogenesi di alcuni sintomi
dei disturbi psicopatologici da stress – si pensi alle memorie intrusive
del PTSD – e per l’interpretazione in termini di memoria e apprendimento dei
processi responsabili dello squilibrio fra sistemi neuronici centrali.
Ross e Van Bockstaele, impiegando il modello psicopatologico delle tre reti
neuroniche, suggeriscono che il PTSD e il disturbo da assunzione di sostanze
oppiacee originano da risposte di apprendimento maladattativo, perpetuate dall’ipereccitazione
della rete della salienza.
(Ross J. A. & Van
Bockstaele E. J., The Role of Catecholamines in Modulating Responses to Stress:
Sex-specific Patterns, Implications and therapeutic Potential for Post-Traumatic
Stress Disorder and Opiate Withdrawal. European Journal of Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1111/ejn.14714, 2020).
La provenienza degli autori è la
seguente: Department of Pharmacology and Physiology, College of Medicine,
Drexel University, Philadelphia, PA (USA).
La forza di una memoria e la
facilità con cui può essere recuperata è in relazione con l’attività delle reti
neuroniche, normalmente in equilibrio omeostatico fra loro. Le diverse reti
svolgono ruoli diversi ma agiscono spesso simultaneamente, mediando aspetti differenti
della stessa esperienza.
Il sistema dopaminergico
mesocorticolimbico valuta il potenziale gratificante o rinforzante di uno
stimolo, mentre il sistema noradrenergico di risposta allo stress valuta
il rischio di una minaccia per l’integrità fisica o psichica, attivando e
orientando l’attenzione e regolando l’avvio di risposte comportamentali emozionali
e motorie. Pattern specifici per ciascun sesso, nell’anatomia e nella
funzione del sistema di allerta, suggeriscono approcci terapeutici
divergenti in uomini e donne, quando si determinano condizioni psicopatologiche
e neurologiche che interessano allerta (fino all’allarme, all’iper-reattività
ansiosa e all’insonnia, ecc.), memoria e apprendimento.
Ross e Van Bockstaele, assumendo come
paradigma neurofunzionale il modello della rete tripla avanzano un’interpretazione
patogenetica per due sindromi tra loro molto diverse, anche se accomunate da
sofferenza ansiosa, ossia il PTSD e i il disturbo da uso di sostanze oppiacee:
entrambe le sindromi potrebbero essere ricondotte all’apprendimento di
risposte maladattative, che sarebbero reiterate cronicamente dall’ipereccitazione
della rete di salienza. Si ricorda che questa serie di aree rileva
e attribuisce il grado di importanza al dato di esperienza, (salience
network).
I due ricercatori presentano
evidenze che il circuito di apprendimento e risposta allo stress,
modulato da catecolamine, esercita un’influenza sostanziale sulla rete
di salienza; parimenti, propongono elementi di evidenza circa la sua disfunzione
nei disturbi psichiatrici associati allo stress e, infine, forniscono
prove a supporto della già nota differenza di fisiologia fra i sessi.
Ross e Van Bockstaele
discutono le potenzialità terapeutiche di agire sul sistema endocannabinoide
endogeno, un esteso, capillare ed efficiente regolatore che svolge un ruolo
cruciale nella neuromodulazione centrale, ma che presenta ancora molti aspetti da
indagare e approfondire. Infatti, la sua azione modulatrice si esercita in ogni
parte dell’organizzazione dell’encefalo, influenzando l’apprendimento,
la memoria e la responsività allo stress, mediante l’azione
sulla trasmissione sinaptica inibitoria ed eccitatoria, non solo delle
giunzioni catecolaminergiche, ma anche di quelle degli altri trasmettitori.
Si rinvia alla lettura completa del
testo dell’articolo perché, integrando informazioni provenienti dalla ricerca
preclinica su ratti maschi e femmine con i dati clinici rilevati in uomini e
donne, i due ricercatori indicano le differenze sessuali, anche di lunga storia
filogenetica, che devono avere la priorità nel delineare la specificità di un
trattamento ideale, dal quale dedurre terapie più efficaci di quelle
attualmente in uso.
L’autrice
della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la
correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane
Richmond
BM&L-14 marzo 2020
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fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Caratterizzati in base al neurotrasmettitore e al ruolo fisiologico prevalente.
[2] La tradizionale distinzione introdotta
da Freud tra paura (fürcht) e angoscia (angst), dove la prima
costituisce la reazione circoscritta ad una minaccia materialmente presente (oggetto),
e la seconda una reazione protratta a processi di elaborazione psichica (paura
senza oggetto), può ancora essere valida per discriminare fra una semplice
risposta che si esaurisce al cessare del pericolo e uno stato funzionale alterato
che si protrae e può essere continuamente re-innescato dal sistema iperattivo del
locus coeruleus, come accade nel PTSD.
[3] È opportuno ricordare che le
etichette fisiologiche convenzionali con le quali indichiamo i neuroni
cerebrali (es.: “mediatori delle emozioni”) possono far dimenticare – come ama
ripetere il nostro presidente – che la maggior parte delle popolazioni
neuroniche e delle strutture encefaliche rivela una polivalenza funzionale,
secondo i criteri neurofisiologici attuali. In altri termini, i neuroni dell’amigdala,
considerati mediatori delle emozioni, prendono parte, ad esempio, alla
classificazione di immagini di animali, e i neuroni “cognitivi” della corteccia
intervengono nelle esperienze emotive. In realtà, la schematizzazione classica
non tiene conto delle ragioni biologiche che hanno definito nel corso dell’evoluzione
i complessi rapporti che esistono tra morfologia e fisiologia cerebrale.